Punto di partenza: Tetti Violin, Entracque (CN)

Descrizione itinerario: Si raggiunge la frazione Tetti Violin dalla strada che da Entracque conduce a Trinità, svoltando a sinistra alla cappella di Santa Lucia e trovando poco dopo un cartello che la indica. Si può parcheggiare l’auto. Si prosegue oltre l’abitato seguendo una stradina che diventa sterrata; la via ferrata è indicata e l’attacco dista circa una ventina di minuti dalle case. Si giunge ad un bivio: a destra è indicato l’attacco della ferrata e il Pian di Funs, a sinistra le Gorge della Reina e il passo della Lausa. Da qui mancano pochi minuti se si sceglie di percorrere l’itinerario principale. La ferrata si può percorrere secondo due itinerari di diversa difficoltà, ecco un piccolo prospetto che ricalca le indicazioni che si trovano in loco:

Itinerario 1: A (tratta difficile con variante A1 molto difficile, non obbligatoria); B (sentiero attrezzato di collegamento tra A e C); C (tratta medio impegnativa); D (tratta impegnativa, ponte tibetano, arrivo in vetta); F (sentiero attrezzato, collega D-E alla seconda vetta e raggiunge G); G (tratta facile attrezzata per la discesa) – Complessivamente 400 metri di dislivello, percorso difficile ed esposto che richiede passaggi atletici, percorribile in 3.30-4.00 h.

Itinerario 2: H (sentiero attrezzato che porta all’accesso della tratta C); C (tratta medio impegnativa); E (tratta facile in ambiente suggestivo, raggiunge la vetta); F (sentiero attrezzato, collega D-E alla seconda vetta e raggiunge G); G (tratta facile attrezzata per la discesa) – Complessivamente 260 metri di dislivello, percorso di media difficoltà, percorribile in 3.30-4.00 h.
Note:
Arrivati sulla prima ricordate di non togliere l’imbrago, servirà ancora più avanti!
Il tratto H può essere usato come via di fuga alla fine della tratta B.
Al termine della parte G, segnalato con tacche di vernice giallo pallido, un sentiero riconduce a valle, ripassando per l’attacco dell’itinerario 1 e riportando poi in breve al punto di partenza.

Ricordi e suggestioni. Salendo verso Entracque sembra quasi di immergersi in un paesaggio dolomitico ed arrivati ai Tetti Violin l’ambiente circostante è mozzafiato: un’immensa prateria fiorita, boschi di foglie appena nate e falesie che di staccano nette e salgono verticali verso il cielo, tutto intorno una corona di montagne innevate di fresco e un cielo cangiante che le dipinge di contrasti forti. E’ una qualsiasi giornata di primavera presa a metà in un angolino nemmeno tanto lontano da casa, rimasto finora inesplorato.
I passi corrono veloci su per il sentiero verso l’attacco della ferrata dopo aver fatto un piacevole incontro inaspettato di miei compaesani. «Valaourians!» li saluto vedendoli. Proseguono verso le Gorge della Reina, che deciderò di visitare sulla via del ritorno.
Uno zainetto rotola giù per un pendio fino ai miei piedi: c’è gente lassù. «Lo prendo io, non scendete!» In breve raggiungo il gruppo di persone che si stanno accingendo ad iniziare la salita, rendo loro lo zainetto fuggiasco e, posato il mio, inizio a prepararmi; ma mi aspettano, gentilmente, e mi chiedono di passare prima di loro. Appena salgo di qualche metro lascio le malinconie a terra e mi immergo totalmente nell’identità tra pensiero e azione. Ah, sì, è giusto così, è meraviglioso! Non importano le mie complicazioni di pensiero, le distinzioni morali, le tristezze o le felicità della vita quotidiana: il mio corpo appeso è contento. Di tanto in tanto una breve pausa, uno sguardo al cielo che si apre e si chiude, alle montagne lontane, alle cime più alte che si velano di nubi o che poi tornano a scintillare nel sole, fresche di nuova neve, affascinanti, attrattive, severe e repulsive allo stesso tempo. Uno dei miei sogni mi guarda di lassù. Lascio godere le membra di qualche pensiero cosciente e di qualche brivido, poi riparto. Soffia un vento fresco che arriva di lontano e sibila nel bosco di faggi umido e scivoloso.
Poi una nuova balza, nuovo attacco, il sole che torna a farsi avanti. Ed un rumore: una pietra ruzzola giù. Non un essere umano, ma la fortuna di essere giunta in silenzio mi si palesa davanti: un camoscio salta di roccia in roccia a poca distanza, si sofferma a guardarmi, sbotta e infine, vedendomi salire parlandogli, se ne va. Continuo, sempre più in su, sempre più distante dalle voci che si sono fatte infinitamente lontane. Siamo solo noi, l’uomo e i suoi artifici, a contatto con la meraviglia della natura. Un comodo ponte tibetano si proietta su di una gola, ancora una salita e mi ritrovo in cima, seduta ai piedi di un ometto di pietre a tagliare in quarti una mela gialla.
Da qui tutto si fa ritorno, lungamente rilassato, senza fretta nel sole pomeridiano. Godo dell’ultima concentrazione dei piccoli passaggi fatti disarrampicando, iniziando tuttavia a percepire la nostalgia di un “qualcos’altro”, che nel mio spirito è perfettamente chiaro. Mentre attorno al sentiero si affollano sempre più fitti gli alberi, così fanno anche i pensieri, parole e frasi che si potrebbero scrivere mentre il blocco note e la matite rimangono serrati in una tasca dello zaino, rifiutandoli un po’. Si torna, si torna muti alle preoccupazioni di sempre, alla sfuggevolezza della tranquillità e del ciel sereno col cuore che batte forte, così tranquillo quando invece non aveva che da sopravvivere e salire metro dopo metro dalla roccia ad un fazzoletto immenso di cielo.
